Cass. Civ. Sez. n. 11504 del 10/05/2017: fine del mantenimento del coniuge?
Di Angela Natati e Stefano Cera, avvocati, consiglieri nazionali APS
E' stato un vero terremoto mediatico quello cagionato dal verdetto della Corte di Cassazione che ha archiviato il concetto di "tenore di vita" goduto durante il matrimonio come parametro incrollabile che l'ex coniuge era, fino alla sentenza n. 11504/2017, tenuto a garantire alla (generalmente) moglie divorziata, attraverso il versamento mensile di una somma. Ebbene, questo 'incubo della condanna al 'mantenimento a vita', è finito anche per i divorziati italiani e - conformemente a quanto succede anche nel resto d'Europa - il nuovo parametro che dovrà essere valutato dai Giudici per ottenere un assegno divorzile si baserà "sulla valutazione dell'indipendenza o dell'autosufficienza economica dell'ex coniuge" che avanza richiesta dell'assegno.
Ecco i nuovi parametri indicati dalla Corte di legittimità: il matrimonio cessa di essere una sistemazione a vita ed un'assicurazione previdenziale, poiché sposarsi, scrive la Suprema Corte nella sentenza 11504, è un "atto di libertà e autoresponsabilità" e se il matrimonio non funziona e si torna ad essere single, non è dovuta alcuna "rendita di posizione". Ciò anche in considerazione del fatto che la previsione di un obbligo di versare un assegno "può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia" e tale statuizione costituisce palese violazione del diritto a rifarsi una vita riconosciuto dalla Corte di Strasburgo e dalla Carta fondante dell'Unione Europea.
La sentenza della Cassazione muove i suoi passi da un procedimento di divorzio fra un facoltoso politico ed un'attraente imprenditrice straniera che, sposati da dieci anni hanno visto la loro vita alla ribalta proprio per le esose richieste della donna di ottenere un vitalizio a titolo di assegno divorzile, oltre a quanto già ottenuto in fase separatizia. Tale diritto viene negato dalla Corte d'Appello per motivi di carenza istruttoria (mancava documentazione a sostegno della domanda) e a causa della diminuzione del reddito del marito.
La Corte di Cassazione investita del caso, in riforma della sentenza della Corte d'Appello, ha statuito che a far perdere il diritto all'assegno alla ex moglie non è il fatto che ella, si presume, abbia redditi adeguati, bensì la circostanza che i tempi ormai sono mutati ed e necessario "superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come 'sistemazione definitiva"".
"Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale". La diretta conseguenza di questa statuizione è quella che, d'ora in poi, i beni di colei/lui che richiederà un assegno divorzile, saranno scrupolosamente accertati dai Giudici al fine di valutare l'esistenza del presupposto dell'autosufficienza. Ad esempio, la disponibilità di una casa ed anche soltanto la capacità lavorativa, attuale o potenziale, di chi chiede l'assegno, ovvero, l'accertata indipendenza economica, saranno causa di diniego al riconoscimento del diritto economico.
E' bene sottolineare, comunque, che trattasi solo di una sentenza, seppur dell'Organismo supremo giudiziario italiano, e non di una legge. Non si possono dunque, al momento, escludere differenti applicazioni del principio emerso dalla decisione nei vari tribunali italiani i quali, pur dovendo prendere in considerazione l'orientamento della Suprema Corte, mantengono comunque autonomia decisionale in materia.
La sentenza, inoltre, riguarda un caso di assegno divorzile: è ancora tutta da scrivere, dunque, la storia della fine del mantenimento per il coniuge separato. Certamente questa sentenza potrà influenzare anche tali quantificazioni ma l'applicazione concreta del principio alle separazioni deve essere ancora conquistata.
Resta comunque il fatto che un muro alto e robusto è caduto; la sensazione (e l'auspicio) è che nulla sarà più come prima.