Marino Maglietta
Recenti decisioni sulla stessa materia, ovvero la disciplina della frequentazione all’interno delle famiglie separate nell’emergenza creata dal diffondersi del coronavirus, hanno messo in luce possibilità di approccio fortemente divergenti. In sostanza, il problema che viene posto è quello della possibilità di conciliare il diritto, nonché l’esigenza, dei figli di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, che in regime condiviso sono entrambi affidatari, con quella di non mettere a rischio la loro salute nel momento in cui si rispettassero gli spostamenti previsti dal magistrato. In questa situazione, bisogna riconoscere che la scelta del governo, attraverso decreti e successivi chiarimenti pubblicati sul stesso del governo, è esente da critiche. Il potere esecutivo, infatti, era logico che stabilisse di attenersi alle disposizioni del magistrato, nella convinzione che i genitori avrebbero osservato ogni regola di prudenza nello spostare i figli da una casa all’altra, conformemente alle raccomandazioni dei decreti stessi. I decreti (tutti), pertanto si limitano a comunicare che nella propria ponderazione di rischi e benefici associati al mantenimento della frequentazione prevalgono i secondi, e quindi che i contatti tra genitori e figli non devono essere modificati.
Provvedimenti restrittivi
La reazione della magistratura, viceversa, è stata variegata, fornendo la dimostrazione di un profondo disorientamento, anche se prevalenti sono state le decisioni restrittive. Limitandosi alle più significative pronunce, si segnalano, in negativo, i provvedimenti assunti dai tribunali di Bari (ordinanza 26 marzo 2020) e di Ferrara ( 30.3.2020) , ciascuno dei quali contribuisce a far comprendere la filosofia dell’altro. Seguendo l’ordine di tempo, prescindendo dalle considerazioni di carattere generale, salta agli occhi che il blocco imposto dal TO di Bari è oltre tutto formulato in modo del tutto inapplicabile: “siano sospese le visite paterne, e … fino a tale data, il diritto di visita paterno sia esercitato attraverso lo strumento della videochiamata, o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario”. Quel padre, dunque, dovrà necessariamente disporre di un PC e di un collegamento a Skype. E quand’anche la richiedente si fosse premurata di informarne il giudice, ha senso prescrivere che il contatto Skype debba durare “per tutto il tempo del diritto di visita”? Un bambino se resiste un’ora a parlare con un genitore è già un santo… Allora perché una scelta così assurda, cosa si ottiene? Chiaro: quel padre, dopo, non potrà pretendere compensazioni, avendo fruito per intero del tempo a lui accordato. Comunque, la criticità maggiore dell’ordinanza di Bari sta nell’utilizzare, negandoli, gli stessi argomenti utilizzati dal Governo nel dettare le regole nell’emergenza del coronavirus: “rilevato, invero, che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020, ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, dal D.P.C.M. 21/3/2020, e, da ultimo, dal D.P.C.M. del 22/3/2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia, è una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio, (attualmente con divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio”. Perfetto: il potere giudiziario che smentisce quelle esecutivo. Passando all’ordinanza di Ferrara, il ragionamento segue un percorso analogo. Premette, infatti: “considerato che le ragioni sottese all’istanza attengono esclusivamente alla preoccupante diffusione del Covid-19”; cui segue: “ai soli fini della tutela della salute dei figli delle parti, è necessario che, almeno fino al 15 maggio 2020, la frequentazione avvenga tramite Skype ovvero analoghi applicativi “. E’ dunque evidente che anche il giudice di Ferrara procede diritto a contraddire le valutazioni dell’esecutivo. Posizione lecita, se accompagnata da una motivazione diversa da quella dell’esecutivo, fondata su considerazioni di altro tipo. Considerazioni del tutto assenti dall’ordinanza, anche se presenti nel ricorso di parte. Ma neppure questa è spiegazione accettabile, essendo mancato sia il contraddittorio con l’altra parte che una qualsiasi elementare verifica di quanto sostenuto. Peggio ancora: si fa notare la premessa “esulano dalla valutazione dello scrivente le argomentazioni relative al diritto della prole alla bigenitorialità ed alla necessità che proseguano gli incontri con il padre, aspetti questi che non possono essere messi in discussione”. Cioè, lo scrivente sembra voler dire che ha ben presenti le esigenze della bigenitorialità e che è stato ultroneo – ovvero fuori luogo – rammentargliele. Ma allora perché non ha disposto un successivo “viceversa”, ovvero un recupero degli incontri saltati, riservando a suo tempo alla madre la via telematica? Con tutta probabilità la risposta è da cercare nella generale filosofia che ispira questi provvedimenti, benché assunti in affidamento condiviso. Non si compie alcuno sforzo per verificare la concreta presenza di rischi, né per studiare la possibilità di conciliare le due esigenze, bigenitorialità e salute. Pure, non è difficile immaginare procedure idonee e, calandole nel reale contesto che la popolazione vive, rendersi conto che la retorica invocazione al “sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori” del TO di Bari è del tutto fuori luogo. Se la frequentazione è paritetica – la soluzione più conforme a un affidamento condiviso – sono sufficienti due o tre spostamenti al mese per rispettare entrambe le esigenze. Si può immaginare che il genitore che accompagna il figlio lo faccia salire in auto alla porta di casa, depositandolo davanti alla soglia dell’altra. Come si può sostenere che in queste condizioni c’è più rischio che svolgendo una qualsiasi delle attività consentite, che nessuno si preoccupa di interdire al “genitore collocatario”? Rammentiamole: fare la spesa, portare fuori animali, prestare sostegno a parenti in difficoltà, svolgere uno qualsiasi dei numerosi lavori ammessi, … . senza contare la sia pur discussa licenza di far prendere aria ai bambini stessi.
La relativa matrice ideologica
A questo punto è istintivo e inevitabile cercare di capire quale meccanismo mentale, o quale ideologia, produca in misura largamente prevalente nel sistema legale un approccio del genere. Nel sistema legale, perché non si è ancora qui osservato che non solo i provvedimenti esaminati, ma anche le numerose analisi condotte e pubblicate da esponenti dell’avvocatura sono condotte a senso unico: ci si chiede se è il caso che il “genitore non collocatario” continui a vedere i figli in periodo di emergenza o se debba sospendere la frequentazione. Un’indagine sul “collocatario” nessuno la prospetta. Perché? Perché si spostano, si travisano completamente i termini della questione. La domanda – correttamente posta dai decreti governativi, come sopra osservato – è se esiste antinomia, ovvero momentanea incompatibilità parziale o totale, tra diritto alla bigenitorialità e diritto alla salute. Ci si dovrebbe, quindi, ogni volta calare nello specifico e, ove si concluda che non c’è modo di salvare entrambi, dare certamente la priorità alla salute, ma guardando da dove proviene il pericolo maggiore e operando in modo da fronteggiare quel pericolo. Il genitore collocatario, ad es., non può essere in servizio in un reparto ospedaliero? Non può esserlo il suo partner? Quindi, in generale, il modo corretto di salvaguardare i figli non è stabilizzarli presso il genitore che adesso li espone ai minori rischi? Cosa c’entra la precedente collocazione? E’ evidente, quindi, che il ragionamento è del tutto diverso. Si assume, secondo prassi, che il rapporto con ciascuno dei genitori sia squilibrato e discontinuo (ossia l’esatto opposto delle prescrizioni di legge: evviva) e ci si propone di ridurre i rischi connessi con i percorsi stradali (che sono irrisori); non con la convivenza. Quindi risulta più semplice consolidare la permanenza laddove è già prevalente. Appare, dunque, chiaro che non esiste alcuna effettiva e sincera preoccupazione per la salute dei figli, ma che si è di fronte all’ennesima manifestazione di ostilità concettuale nei confronti dei modelli bigenitoriali, che vengono in ogni modo ostacolati e penalizzati. Ormai in automatico. Ne sono involontaria e inconsapevole ma clamorosa confessione alcune espressioni e precisazioni presenti nel provvedimento barese, laddove si esplicita la preoccupazione che la madre e i suoi conviventi possano essere infettati dal figlio al suo rientro:“…ritenuto che non è verificabile, che nel corso del rientro il minore presso il genitore collocatario, se il minore, sia stato esposto a rischio sanitario, con conseguente pericolo per coloro che ritroverà al rientro presso l’abitazione del genitore collocatario. Non che il figlio si possa infettare dal padre! Purtroppo, a quanto pare, la fondamentale terzietà della Giustizia è andata in vacanza.
Impostazioni plausibili e metodi di prevenzione
Passando ai provvedimenti condivisibili, il TO di Milano (decreto 11.3.2020) si attiene, correttamente, ai decreti governativi e lascia proseguire gli incontri con la tempistica precedente. Il TO di Verona, poi (27.3.2020, studiocataldi.it/articoli/38002-l-uncc-contro-l-invenzione-del-genitore-collocatario.asp ), compie un passo in avanti in più, modificando il provvedimento iniziale in modo da abbattere il rischio: con un trasferimento ogni due settimane è più pericoloso affacciarsi alla finestra… Tuttavia, più avanti di tutti, e in meglio, si spingono le “Riflessioni” dell’Unione Nazionale Camere Civili, che non hanno mancato di scavare nelle origini del problema. In altre parole, l’UNCC non si è accontentata di dare suggerimenti legati alla occasionale emergenza, ma li ha inseriti all’interno di una più generale analisi, riuscendo a meglio individuare i rimedi attraverso la corretta individuazione delle cause. Hanno così realizzato che le difficoltà aggiuntive, nonché gli stessi pericoli paventati dal rispetto contemporaneo della bigenitorialità e della cautela, trovano la loro gratuita origine nella incongruità, illegittimità, irragionevolezza e non plausibilità di una prassi, pressoché costantemente adottata in sede giurisprudenziale, che prevede l’invenzione di un genitore “collocatario” accanto a un “non collocatario” cui è riservato un fantomatico “diritto di visita”, per giunta spezzettato in pomeridiane “visite” tra “non collocatario” e figli (sballottati come pacchi postali da una casa all’altra). Un modello – già assurdo e ingestibile nelle situazioni ordinarie (si pensi alla quantità di libri e quaderni da trasportare continuamente e spesso dimenticati), che aggiunge maggiori rischi gratuiti in occasioni di emergenza come l’attuale. Di qui il loro auspicio – del tutto generale – che si privilegino sempre formule paritetiche: “ E’ dunque più che probabile che il problema abbia una matrice culturale, la cui responsabilità è da individuare all’interno del sistema legale. In altre parole, la discriminazione fra genitori – entrambi affidatari ed entrambi parimenti responsabili della cura, educazione e istruzione dei figli – introdotta dall’invenzione del genitore prevalente come figura giuridica, dovrebbe essere fatta cessare, come è avvenuto in molti Tribunali”.