Commento Avvocato Angela Natati alla sentenza Corte Costituzionale 32 del 9 marzo 2021
Con la sentenza n. 32 del 9 marzo 2021 la Corte Costituzionale mette in luce la difficoltà nel porre rimedio ad un vuoto di tutela nel sistema dei diritti costituzionalmente riconosciuti agli individui in materie eticamente sensibili, in particolar modo per quel che concerne i diritti dei minori, la cui attenzione è demandata esclusivamente al legislatore a fronte delle disarmonie che si presentano nella realtà concreta. Nel caso affrontato la Corte ha dichiarato l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004 n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e 250 del codice civile, sollevate in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9 della Convenzione sui diritti del fanciullo, e agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), nella parte in cui non consentono ai nati nell’ambito di progetti di procreazione medicalmente assistita, praticata da coppie dello stesso sesso, di essere riconosciuti dal genitore intenzionale, stante la completa insufficienza del ricorso all’adozione per i casi particolari e ciò al fine di restringere il divario fra società e realtà legale. Con ordinanza di rimessione il Tribunale di Padova aveva sollevato legittimità costituzionale delle norme sopra indicate in quanto adito dalla madre intenzionale di due gemelle, nate da un condiviso progetto genitoriale mediante fecondazione eterologa. La ricorrente aveva fornito il proprio consenso al progetto di procreazione medicalmente assistita ed aveva assunto nei confronti delle minori un ruolo genitoriale a partire dalla loro nascita e sino ai cinque anni successivi, termine di conclusione della relazione con la madre biologica. La conflittualità fra la coppia aveva indotto la madre biologica a rifiutare di prestare consenso affinché la madre intenzionale potesse ottenere il riconoscimento della sua qualità di genitore e la possibilità di poter attribuire il proprio cognome alle bambine. La ricorrente chiedeva al giudice a quo l’accertamento della sua qualità di genitore, secondo la procedura prevista dall’art. 250 del codice civile, sulla base del consenso prestato in sede di procreazione medicalmente assistita, ed altresì chiedeva di rettificare gli atti di nascita delle minori in quanto dichiarativi del riconoscimento unico da parte della madre biologica. La peculiarità dell’assenza di dichiarazione congiunta davanti l’ufficiale di stato civile all’atto della nascita aveva creato un ulteriore ostacolo ai diritti della madre intenzionale, e delle minori, nel veder riconoscere il legame di filiazione a seguito di fecondazione eterologa. Il rimedio potenzialmente esperibile a tale fattispecie poteva essere individuato all’art. 44 comma 1 lettera d) e successivo art. 46 della legge n. 83/1984 sull’adozione e dell’affidamento dei minori in casi particolari, secondo cui la madre intenzionale avrebbe potuto adottare le figlie mediante il consenso della madre biologica, in qualità di genitore legale; consenso che nei fatti non è stato prestato. La struttura della legge n. 40/2004 prevede che solo le coppie eterosessuali possano ricorrere alla procedura di procreazione medicalmente assistita e richiedendo come condizione di accesso alla tenica il consenso informato di entrambi. Inoltre, all’art.5 viene imposto il divieto alla fecondazione eterologa (in più pronunce la Corte ha ribadito che tale divieto non contempla illegittimità costituzionale). Pertanto, seguendo questo percorso normativo, i nati da coppie omosessuali mediante fecondazione eterologa potrebbero vedersi riconoscere lo status di figli esclusivamente sulla base dei consensi prestati in sede di pratica assistita, unitamente al consenso del genitore legale all’atto di nascita sulla scorta dell’adozione in casi particolari. Il caso rimesso alla Corte diviene singolare proprio perché viene escluso da tale tutela eccezionale senza possibilità di esperire ulteriori strumenti legali al fine del riconoscimento del legame di filiazione. Tale vuoto di tutela genera una disparità di trattamento fra i nati mediante procreazione assistita a seconda che la coppia che vi ricorre sia eterosessuale oppure omosessuale. All’interno poi dei nati da coppie omosessuali occorre distinguere fra coloro i quali ottengono il riconoscimento di entrambi i genitori, fondato sul meccanismo del consenso all’adozione, rispetto a coloro nei cui confronti non è stato concesso il riconoscimento da parte del genitore intenzionale e che perciò sono destinati ad essere figli di unico genitore e conseguentemente non riconoscibili dall’altra persona che ha intenzionalmente contribuito al progetto procreativo. Tale situazione si pone in contrasto principalmente con gli artt. 2,3,30 e 117 comma 1 della Costituzione in quanto verrebbe leso il diritto del minore all’identità e a tutti i diritti che discendono dallo status di figlio (il mantenimento, la cura, l’educazione, l’istruzione, la successione e, più semplicemente, la continuità e il conforto di abitudini condivise) nei confronti di chi lo ha generato o espresso consenso all’interno di una formazione sociale – comunque meritevole di tutela a prescindere. Si creerebbe una situazione discriminante, come sopra accennato, in violazione degli artt.3 della Costituzione e 14 della CEDU, che porterebbe alla formazione della categoria di “ nati non riconoscibili” sulla base dell’orientamento sessuale dei genitori che hanno scelto di ricorrere alle tecniche di procreazione assistita. Ma soprattutto sarebbe leso il diritto alla vita privata del bambino, secondo l’art.8 e Protocollo n. 16 della CEDU, cui sia impedito il riconoscimento del legame con il genitore intenzionale, lasciandolo esposto ad una situazione di incertezza giuridica nelle sue relazioni sociali, quanto alla sua identità personale. Nel citare il dialogo necessario fra le normative interne e quelle sovranazionali non si può esimere il fatto che l’inerzia legislativa italiana, come espresso dalla stessa Corte, appaia in netto contrasto con gli impegni assunti dallo Stato italiano rispetto alla Convenzione Onu dei diritti del fanciullo, firmata a New York nel novembre del 1989 e ratificata in Italia con la legge n. 176/1991, la quale (specie agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 9) ritiene superiore l’interesse del bambino e l’ascolto delle sue opinioni su tutte le decisioni che lo riguardano. Tale Convenzione considera altresì necessaria la tutela del fanciullo da ogni forma di discriminazione o di sanzione che vengano motivate dalla condizione sociale, dalle opinioni professate dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari. In conclusione, la Corte ammette la sua impossibilità a modificare una situazione la cui risoluzione necessita dell’esclusivo intervento del legislatore. L’auspicio è quindi volto alla revisione delle discipline in materia di adozione e di procreazione medicalmente assistita al fine di individuare le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore nato da procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche del genitore intenzionale.